NewsCessione intracomunitaria e indetraibilità dell’Iva

2 Marzo 2018

La Corte di Giustizia, con la sentenza 21 febbraio 2018, C- 628/16, ha affermato che, se un fornitore comunitario emette erroneamente una fattura imponibile ai fini Iva, l’acquirente nazionale non può invocare il principio di tutela del legittimo affidamento per avvalersi del diritto di detrazione dell’imposta indebitamente pagata.

Nel caso di specie, una società aveva ceduto, all’interno del proprio Stato, merce franco partenza a un soggetto passivo, senza tuttavia sapere che i beni sarebbero stati rivenduti a un terzo, acquirente finale, il quale li avrebbe trasportati in un altro Paese membro. Di conseguenza, il primo operatore ha ritenuto la propria operazione una cessione intracomunitaria, mentre il secondo aveva inizialmente emesso fatture con Iva, detratta dal cliente finale, successivamente rettificate in operazioni non imponibili.

Prima di analizzare la legittimità dell’esercizio del diritto di detrazione dell’imposta, occorre determinare, ai sensi dell’art. 32, par. 1, direttiva 112 del 2006, a quale delle due cessioni deve essere imputato il trasporto intracomunitario. E invero, quando due vendite consecutive, riguardanti gli stessi beni, effettuate a titolo oneroso tra soggetti passivi, danno luogo a un unico trasporto intracomunitario, questo può essere attribuito a una sola delle due operazioni (Corte di Giust. 26 luglio 2017, C-386/16; Corte di Giust. 16 dicembre 2010, C-430/09; Corte di Giust. 6 aprile 2006 C-245/04, in curia.eu).

E invero, se la cessione che comporta una spedizione o un trasporto intracomunitario di beni, e che ha dunque come conseguenza un acquisto intracomunitario tassato nello Stato membro d’arrivo, è la prima delle due cessioni successive, la seconda cessione si considera avvenuta nel luogo dell’acquisto intracomunitario che l’ha preceduta. Al contrario, se la cessione che dà luogo alla spedizione o al trasporto intracomunitario di beni è la seconda delle due cessioni successive, la prima cessione, avvenuta per definizione prima della spedizione o del trasporto dei beni, si considera avvenuta nello Stato membro di partenza.

In altri termini, il trasporto intracomunitario deve essere imputato alla vendita intercorsa tra l’intermediario e l’acquirente finale se tale passaggio di proprietà si è verificato prima che sia effettuato il trasporto.

Di conseguenza, “il luogo della seconda cessione di una catena di operazioni (…) non può dipendere unicamente dalla qualificazione conferita dal primo fornitore alla prima cessione in base alle sole informazioni che gli erano state erroneamente fornite dall’operatore intermedio” (Corte di Giust., 21 febbraio 2018, C- 628/16).

Valutato che la seconda cessione integra un’operazione intracomunitaria, la Corte di Giustizia ha osservato che l’errata fatturazione con Iva del soggetto intermedio non consente all’operatore finale, che ha pagato l’imposta, di potersela detrarre.

I giudici comunitari, pur sottolineando che il diritto a detrazione garantisce la perfetta neutralità dell’Iva, ne limitano fortemente l’esercizio anche nei casi in cui l’imposta sia stata indebitamente versata, a prescindere dalla circostanza che il cliente finale, in buona fede, sia stato tratto in errore dalla fattura del fornitore.

In presenza di una cessione intracomunitaria erroneamente fatturata con Iva, pertanto, l’acquirente non può detrarre dall’imposta di cui è debitore l’importo dell’Iva assolta.

Di conseguenza, l’unico strumento che il soggetto passivo possiede per recuperare l’imposta pagata è agire in giudizio contro l’operatore intermedio che ha qualificato in modo errato la propria cessione.

Tale strada, tuttavia, pare eccedere il meccanismo dell’Iva volto a garantire la neutralità dell’imposta, che è basata sul diritto di detrazione e l’obbligo di rivalsa e non sulle azioni civilistiche di rimborso tra operatori economici.

Infine, in presenza di una società “apri e chiudi” o di un soggetto incapiente, l’acquirente finale rimarrebbe definitivamente inciso dall’imposta, pur avendo provato la propria buona fede e l’estraneità all’eventuale frode.

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