NewsLa Consulta pone fine alla diatriba sull’art. 20 del Testo Unico Registro riguardante l’interpretazione degli atti

21 Settembre 2020

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 158 del 21 luglio 2020, si è pronunciata favorevolmente sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (“T.U.R.”), sollevata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23549 del 23 settembre 2019 (l’“Ordinanza”).

L’Ordinanza era stata emessa dalla Suprema Corte nel contesto di un giudizio i cui fatti di causa risalivano al 2008, tenuto conto della richiesta da parte della difesa della società ricorrente in merito all’applicazione dell’art. 20 T.U.R., come da ultimo modificato dalle Leggi di Bilancio 2018 e 2019 e definito “norma di interpretazione autentica”, avente efficacia retroattiva; segnatamente, la Suprema Corte aveva sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale, sollevando questione di legittimità dell’art. 20 T.U.R., in rapporto agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Secondo il giudice rimettente, tuttavia, la norma in questione – che l’art. 1, co. 1084, L. 145/2018 (Legge di bilancio previsionale per l’anno 2019) ha espressamente qualificato come norma di interpretazione autentica, avente, pertanto, efficacia ex tunc – si sarebbe posta in contrasto con il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost. e con quello di uguaglianza espresso dall’art. 3 Cost.

La Sentenza pone auspicabilmente un punto fermo al pluriennale dibattito sulla ratio e l’applicazione dell’art. 20 T.U.R., nella formulazione pre e post riforma del 2018, legittimando, sul piano costituzionale, le modifiche apportate dall’art. 1, comma 87, della Legge n. 205 del 2017, e dall’art. 1, comma 1084 della Legge n. 145 del 2018, che hanno qualificato la vigente formulazione della disposizione quale norma di interpretazione autentica della ratio della disposizione oggetto di domanda di legittimità.

A questo punto, pertanto, si ritiene costituisca ormai un dato definitivamente acquisito, che:

  • l’art. 20 T.U.R. non ha funzione antielusiva e non consente di per sé contestazione nel senso dell’abuso del diritto;
  • l’imposta di registro è un’imposta d’atto e deve essere applicata secondo la capacità contributiva recata dall’atto presentato per la registrazione, senza poter trarre elementi indiziari extra testuali di una differente “causa reale” del negozio giuridico, meritevole di tassazione in forma più onerosa;
  • l’art. 20 T.U.R., nella vigente formulazione, è norma del tutto in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e di capacità contributiva;
  • al contribuente, anche in relazione a fattispecie rilevanti ai fini dell’imposta di registro, non è preclusa una legittima pianificazione fiscale, in linea con i principi del diritto interno e dell’Unione Europea.

A seguito del citato pronunciamento, l’Agenzia, con risposta a interpello 17 settembre 2020, n. 371, ha accolto i principi espressi dalla Corte Costituzionale ribadendo la natura “d’imposta d’atto” propria dell’imposta di registro.

Alla luce della Sentenza e dei primi commenti dell’Amministrazione, pertanto, è auspicabile attendersi un rapido allineamento da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità al contenuto proprio dell’art. 20 T.U.R., ponendo fine alla lunga serie di contenziosi che avevano investito la questione in oggetto.

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