È legittimo richiedere al Fisco un risarcimento economico in caso di verifiche fiscali fondate su evidenti errori dei verificatori ed emersi a seguito di un contenzioso.
Sono queste le conclusioni a cui è giunta la Suprema Corte nella sentenza 5984, depositata il 28 febbraio scorso.
La vicenda riguarda un procedimento penale relativo al reato di infedele dichiarazione che il giudice penale competente ha ritenuto non fondato, giacché le accuse mosse dall’Erario sono risultate del tutto errate. In particolare, al contribuente era stata contestata l’utilizzo di fatture false relative l’acquisto di alcune automobili usate.
Tale contestazione, tuttavia, è stata completamente smontata nel procedimento penale che ha ingiustamente coinvolto l’imprenditore, il quale è stato assolto dal GUP con formula piena, in quanto il fatto non sussiste.
Ebbene, il contribuente in questione, dopo l’assoluzione ottenuta in sede penale, ha agito per il risarcimento dei danni subiti, afferenti alla sua salute, alla vita lavorativa e a quella di relazione.
La Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza di secondo grado, che aveva condannato l’Ufficio al risarcimento di 20.000 euro, ha affermato che l’attività della Pubblica Amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del “neminem laedere”, codificato nell’art. 2043 cod. civ.
Di conseguenza, è consentito al Giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa Pubblica Amministrazione un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo.
Infatti, stanti i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., la P.A. è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall’art. 2043 cod. civ., atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale.
Lo Studio Legale UBFP rimane a disposizione per approfondire le tematiche qui brevemente descritte.